Un approccio culturale all’inserimento lavorativo.
Nel nostro lavoro con persone che abusano di alcool e sostanze, prima o poi si arriva al punto di snodo fra percorso di cura e prova in ambiente naturale della sua riuscita. Molto spesso questo punto è rappresentato dal momento in cui un paziente, dopo un trattamento più o meno lungo e intensivo, approccia il mondo esterno e la ricerca di un’occupazione lavorativa.
Dovrebbe farlo con nuovi strumenti di pensiero e comportamento sviluppati durante la terapia. Quali sono i repertori psichici e comportamentali specificamente utili per il lavoro, che le persone dovrebbero acquisire? Quali i segnali predittivi di insuccesso? come individuarli e porvi rimedio?
Queste domande investono direttamente il nostro ruolo di terapeuti, ma soprattutto di progettisti di processi di terapia. Non possiamo infatti considerare completo il nostro lavoro, se mettiamo le persone nella condizione di controllare i propri sintomi, gestire meglio le proprie relazioni o l’uso di sostanze e alcool, ma le lasciamo sguarnite degli attrezzi necessari per cercare e mantenere un lavoro.
Qui non parlerò di strumenti ‘esterni’ come la possibilità di accedere ad annunci di lavoro o banche dati, o di competenze professionali specifiche di un mestiere o di una professione, ma dello strumentario psicologico e comportamentale comune a qualunque occupazione. Uno strumentario che noi tendiamo a dare per scontato, che il ‘comune cittadino lavoratore’ apprende per progressiva socializzazione in famiglia, a scuola, nella sua carriera lavorativa; uno strumentario che per le persone che seguiamo invece non è scontato.
IL REPERTORIO MINIMO PER LAVORARE (E FAR LAVORARE)
L’offerta di una parte significativa del proprio tempo, e di una prestazione volta a produrre un certo risultato concreto, è la struttura costitutiva di un rapporto di lavoro. Prima ancora di incontrare una domanda, è necessario che l’offerta sia completa in tutte le sue parti: tempo, prestazione e risultato. Questa prima elementare legge del lavoro si deve tradurre in un approccio, in un atteggiamento del lavoratore, nella sua disponibilità a svolgere con costanza una certa attività con un certo risultato. Le persone che seguiamo, e che hanno avuto trascorsi di importante difficoltà personale e lavorativa, possono non aver sviluppato l’attitudine a considerare che un rapporto di lavoro richiede tutti e tre gli elementi: tempo, prestazione e risultato. Una delle credenze più frequenti e dannose è che l’elemento della prestazione sia sufficiente per definire il pacchetto dell’offerta, con la conseguenza di sottovalutare sia il tempo (costanza, presenza, orari) che il risultato (produzione e qualità).
Il secondo elemento significativo nel lavoro sono le relazioni. La capacità di sviluppare una relazione è il presupposto per qualunque inserimento lavorativo valido, e soddisfacente. Le persone che seguiamo possono avere enormi difficoltà sul piano delle relazioni, della socializzazione primaria. Questo può portare, pure in presenza di un’offerta completa di tempo, prestazione e risultato, a rendere problematico il lavoro a causa di conflitti e incomprensioni. Osserviamo una generale consapevolezza da parte delle persone che seguiamo dell’importanza delle relazioni positive con colleghi e superiori. Le relazioni vengono anche riconosciute per il loro valore come fattore che aumenta – o può diminuire grandemente – la motivazione e la soddisfazione. Ma non sempre la consapevolezza dell’importanza delle relazioni si traduce in comportamenti adeguati, ed è questo un tema da tenere in grande considerazione nei nostri percorsi di cura.
Un terzo elemento di rilievo è l’adattamento alle regole esplicite ed implicite del luogo di lavoro. Senza arrivare alle critiche manifestazioni di un disturbo antisociale di personalità – frequente nelle persone che trattiamo – basta già una storia personale sviluppata in ambienti di marginalità sociale o delinquenziali, e dunque un mancato apprendimento del repertorio di norme dei contesti di lavoro, a creare difficoltà. Si tratta di una sorta di disadattamento culturale, simile a quello che si avrebbe con il trasferimento in un paese straniero di cui non si conoscono le usanze.
Un quarto elemento, che ha assunto un’importanza sempre maggiore, è quello della sicurezza. Che fa il paio con l’uso di sostanze e con il rapporto con il corpo. Il tema della sicurezza, che è prima di tutto un approccio al mondo esterno attento alla conservazione della propria vita e della propria integrità fisica, è una metafora potente dell’approccio del tossicomane alla propria esistenza. I più recenti ed efficaci protocolli di gestione della sicurezza, fondati sulla Behavior Based Safety, pongono un accento determinante sull’atteggiamento, sul comportamento e sul clima culturale interno all’azienda relativo alla conservazione dell’integrità fisica e psichica, propria e altrui. L’evoluzione della sicurezza sul lavoro – da sistema di regole da rispettare ad assetto culturale aziendale – è ancora lontana dal penetrare in Italia. Ma credo debba essere un tema di rilievo per i nostri trattamenti perché può essere uno strumento metaforico potente per parlare del corpo e della sua conservazione, e dell’interesse per l’altro attraverso un medium concreto, terzo e indiscutibile.
La sicurezza è rilevante anche rispetto al rapporto con le sostanze e l’alcool: spesso è la chiave d’accesso per aprire con i tossicomani il tema dell’incompatibilità del consumo di sostanze con i contesti sociali in cui ci si appresta ad entrare; una chiave che ci è stata offerta dall’evoluzione normativa e organizzativa del mondo del lavoro, e che ha il pregio di essere incontrovertibile, rappresentando un elemento di terzietà rispetto alle opinioni messe in campo nel trattamento sia dal paziente tossicomane che dal terapeuta. Come ogni chiave, spalanca una porta su un mondo che è poi da esplorare. Perché dopo aver ottenuto l’astensione dal consumo di sostanze ed alcool in ambiente controllato, all’intero di un percorso terapeutico, il contatto con il lavoro è necessariamente contatto con un contesto naturale in cui l’astinenza viene messa alla prova, e anche duramente. Ciò che funziona in laboratorio, non sempre funziona in ambiente naturale.
Infine, il tema del valore attribuito al lavoro in termini di identità sociale e personale, e di indirizzo esistenziale. Spesso osserviamo una concezione impoverita del lavoro, collocato all’interno dell’equivalenza lavoro=retribuzione come mero strumento di autonomia economica. Con il risultato di scivolare rapidamente su crinali pericolosi per la conservazione della salute psichica e del posto di lavoro, nel momento in cui la persona incorre in tutta l’ambiguità dell’equivalenza. Sappiamo che su questa equivalenza si giocano le trattative sociali e i conflitti più feroci, e che non è mai un’equivalenza fissata in via definitiva, persino nei casi in cui è definita da complessi contratti collettivi di lavoro. Eppure spesso i nostri pazienti sembrano ricondurre interamente il valore del lavoro alla fede cieca in questa equivalenza, che viene idealizzata come eternamente equa, oppure svalutata come sempre iniqua e fondata sulla sproporzione fra lavoratori sfruttati e datori di lavoro sfruttatori. Sopratutto, abbiamo osservato che più una persona è focalizzata sul tema del mero guadagno economico, meno sarà disposta ad attribuire al lavoro significati diversi e ulteriori. Ma sono questi significati diversi e ulteriori, di natura esistenziale, relazionale e identitaria, gli unici in grado di compensare a lungo termine il crollo del mito dell’equivalenza fra lavoro e retribuzione che fa parte della complessità delle negoziazioni del lavoro.
Quella che ho appena fatto non è una rassegna esaustiva, piuttosto è un elenco delle questioni almeno necessarie da mettere in campo nel trattamento, un repertorio minimo da avere nella borsa quando si va allo snodo fra programma terapeutico e mondo esterno. Ad essa si legano gli strumenti che usiamo per valutare in che modo e con quale forza vengono tematizzati dai pazienti questi contenuti, e gli interventi che possiamo mettere in campo per ottenere un ragionevole miglioramento del loro adattamento al lavoro.
LA VALUTAZIONE
La valutazione dell’attitudine al lavoro di una persona, delle sue credenze e di quelle del gruppo di pari, si svolge con percorsi paralleli e complementari all’interno del contesto del Centro Diurno e della Comunità Terapeutica.
L’OSSERVAZIONE IN CONTESTO OCCUPAZIONALE è il primo strumento di raccolta di dati, è attuato in modo continuo nella quotidiana frequentazione del Centro Diurno e indaga comportamenti e atteggiamenti di base, aspecifici: capacità di socializzazione, congruenza del comportamento con il contesto, capacità di rispettare regole e orari e di salvaguardarsi dal punto di vista della sicurezza con comportamenti misurati, adatti alle proprie capacità, privi di rischio.
Il FOCUS GROUP è il secondo strumento di raccolta delle informazioni. Si tratta di un metodo per indagare atteggiamenti e opinioni, che si realizza attraverso gruppi focalizzati su un tema. Il tema del gruppo viene trattato inizialmente in modo generale e via via sempre più nei suoi aspetti specifici. Noi utilizziamo il focus group per indagare atteggiamenti espliciti ed impliciti sul mondo del lavoro dei nostri pazienti e della microcultura che essi creano nelle loro interazioni. Nei gruppi, che si svolgono con cadenza settimanale e durano un’ora, vengono trattati in modo esplicito e reiterato i temi salienti che ho raccontato nella prima parte di questo articolo, facendo emergere le credenze e gli atteggiamenti. I conduttori devono mantenere una posizione neutrale e non direttiva, perché l’individuazione di atteggiamenti e pensieri funzionali e disfunzionali deve dipanarsi progressivamente e in piena libertà, senza il disturbo di valutazioni o indicazioni. Gli interventi educativi, di sostegno o di interpretazione possono infatti interrompere la raccolta di preziosi elementi di rappresentazione del lavoro, e impedire ogni successiva elaborazione o intervento.
L’OSSERVAZIONE IN CONTESTO DI LAVORO SIMULATO è l’ultima e più specifica fase di raccolta di informazioni. Questo strumento permette di mettere la persona in condizioni molto simili a quelle in cui si troverebbe in un contesto di lavoro: orari, attività, obiettivi sono quelli di un ambiente produttivo reale, interno alla cooperativa (giardinaggio, produzione di ortaggi, panetteria, cucina) o esterno (stage in azienda). L’osservazione in contesti di simulazione del lavoro ha il pregio di valutare fattori non altrimenti rilevabili, come la resistenza alla fatica, la costanza, la capacità di conciliare tempi e qualità della prestazione, la gestione delle relazioni e dei conflitti in contesti in cui il rapporto interpersonale è spesso un mezzo e non un fine.
INTERVENTI
Anche se non è lo scopo di questo articolo, è utile una brevissima sintesi degli interventi che noi utilizziamo per cambiare atteggiamenti e comportamenti rispetto al lavoro.
Il primo livello di intervento è sul piano organizzativo/esperienziale: i nostri contesti occupazionali e di simulazione lavorativa sono progettati e mantenuti in una logica anche correttiva. Questo avviene selezionando ed esplicitando un complesso di regole, e mantenendo attivo un complesso di usi e consuetudini non scritte. L’ambiente è organizzato per plasmare alcuni atteggiamenti e comportamenti delle persone che lo vivono, e modellarli verso una configurazione adatta all’obiettivo che ci si prefigge di raggiungere.
Il secondo livello di intervento è di tipo terapeutico, con trattamenti individuali basati sulla relazione, che si situano lungo il continuum che va dal supportivo/direttivo all’espressivo. Il tema del lavoro è qui trattato come un correlato del vivere, uno degli elementi in campo, ed è qui che in modo più intensivo si trattano i temi legati al significato di lavorare in termini di identità sociale e personale, cercando di arricchire il campo oltre la mera equivalenza lavoro=retribuzione.
Infine il terzo livello di intervento è costituito dalla formazione, intesa come tutti gli interventi e percorsi volti a sviluppare o apprendere attività o abilità specifiche: dai percorsi formativi su mansioni e argomenti, ai gruppi tematici per progettare e monitorare la ricerca del lavoro in tutte le sue fasi (bilancio delle competenze, CV, preparazione al colloquio di lavoro, programmazione e monitoraggio della ricerca).