Invalidità Civile: essere malati non basta.

Invalidità Civile: essere malati non basta.

Parrebbe qualcosa di scontato, e invece l’esperienza dimostra che non è così: è ancora fortemente radicata l’idea che basti essere malati per accedere ai benefici economici dell’invalidità e inabilità civile. Talvolta, l’idea è che tanto più stabile e cronica sia la condizione di malattia, e tanto più alto sia il punteggio di invalidità a cui si avrebbe diritto.

Questa lettura dell’invalidità civile è parziale, per non dire sbagliata. E determina un’aspettativa distorta da parte dei clienti che mi interpellano, di solito dopo che una prima valutazione da parte della commissione per il riconoscimento dell’invalidità non ha dato i risultati sperati.

In realtà l’invalidità civile richiede due condizioni: una malattia, certamente. Magari anche più di una. Ma ANCHE una riduzione della capacità lavorativa per effetto della malattia. E su questo secondo requisito, spesso malamente argomentato dall’interessato stesso in sede di valutazione da parte della commissione territoriale, si infrangono le aspettative di ottenere assistenza economica o facilitazioni per l’accesso al lavoro.

Non si può sperare di ottenere benefici presentandosi all’accertamento con un plico di certificati medici, puntando sulla quantità. Piuttosto, in sede di accertamento va argomentata in modo puntuale la condizione di patologia, con tutta la sua storia e tutta la documentazione specialistica recente a supporto. Ma ancora più importante, va sostenuto e descritto l’impatto che la malattia ha avuto sulla vita lavorativa della persona, e quali effetti e limitazioni produca oggi nel contesto lavorativo.

Per un lavoratore generico, è spesso sufficiente illustrare l’impatto su un set di capacità lavorative aspecifiche (spostarsi autonomamente, sollevare pesi, compiere alcuni movimenti, interagire con altre persone, sostenere condizioni di tensione, etc.).

Invece, per un professionista che voglia ricevere una valutazione per invalidità dal proprio ente di previdenza di categoria, l’onere di dimostrare una limitazione della capacità lavorativa specifica è ancora più importante. Non è la regola suprema, ma in generale una cassa di previdenza per professionisti valuta l’invalidità in base all’impatto che la patologia ha sulla capacità di esercitare quella specifica professione (ingegnere, psicologo, biologo, etc.). Il professionista non potrà quindi presentarsi con una mera certificazione di patologia, ma dovrà produrre – preferibilmente in forma di relazione redatta da uno specialista – una valutazione della limitazione delle capacità lavorative in conseguenza della patologia.

Un esempio paradossale può aiutare a comprendere meglio: l’amputazione di un arto può essere considerato facilmente come una condizione invalidante (come si può lavorare senza una gamba?), ed anzi stabilmente invalidante (l’arto non può ricrescere). Ecco, invece dal punto di vista della valutazione di invalidità sarà molto diverso se la persona svolge la professione di allenatore di calcio, di operaio generico o di psicologo. In quest’ultimo caso, potrebbe addirittura non essere riconosciuta alcuna invalidità, o un livello minimo, dato che l’amputazione di un arto non ha necessariamente attinenza con l’esercizio della specifica professione.

Questo non significa che l’invalidità sia semplicemente una questione di benefici per il lavoro. I benefici della certificazione di invalidità civile vanno certamente oltre quelli che impattano sul lavoro. Ma una limitazione lavorativa è condizione necessaria al riconoscimento.