Figli dimenticati in auto: quali soluzioni?
L’occasione per parlare di nuovo del problema dei bambini piccoli dimenticati in auto dai genitori, che in alcuni casi hanno portato alla morte, è il nuovo spot di Autostrade per l’Italia.
Lo spot oggettivamente non è centrato: tratta il fenomeno come qualcosa che si può prevenire con un gesto volontario e cosciente, semplicemente ricordandosi di voltarsi.
Ma il punto è un altro: la memoria non funziona così. La memoria può sbagliare. SI: ci si può dimenticare un figlio in auto. Senza essere per questo nei genitori peggiori.
Fino a qualche anno fa, le equipe chirurgiche dimenticavano le garze dentro i pazienti o sbagliavano l’arto da operare. Oppure i piloti di aereo dimenticavano di controllare a terra il funzionamento dei flap o lasciavano il carrello abbassato. La memoria umana non è perfetta, ma probabilistica: funziona nella maggior parte delle situazioni ma lavora cercando di risparmiare risorse. Soprattutto, la memoria risente dell’interferenza di altri compiti che vengono svolti contemporaneamente.
Atul Gawande in ‘Check-List’ – libro molto psicologico – racconta proprio l’introduzione di banalissimi accorgimenti per bypassare la fallacia della memoria. Segnare l’arto da operare con un pennarello quando il paziente è ancora in camera ed è vigile. Spuntare una lista di 5 semplici domande prima di decollare. Non far volare insieme gli stessi piloti e copiloti per evitare che l’abitudine li induca ad automatismi.
Per cui ben vengano accorgimenti semplici ed economici per salvare la vita di quei pochi bambini che muoiono in auto. Il costo vale comunque il guadagno di vite salvate. Cicalini (li fanno per i fari accesi, perché non per salvare vite?), avvisi, insomma qualunque cosa che interrompa l’automatismo di scendere dall’auto dimenticandosi il bambino che magari sta dormendo.
Da psicologi, sappiamo benissimo che l’intervento per essere efficace deve interrompere la routine dell’automatismo nel momento in cui si manifesta, per cui gli spot come quello di Autostrade per l’Italia sono probabilmente inutili: non agiscono nel momento in cui si realizza l’azione automatica.
Però su questo dibattito non si riesce ad essere neutri, resta un fondo di giudizio morale. Puoi dimenticarti la garza nella pancia del paziente, ma è come immorale dimenticare un figlio.
Pochi giorni fa mi sono imbattuto in una tesi di laurea interessante sulla maternità e sulla genitorialità, che racconta come essere genitori nella specie umana non sia affatto una questione biologica o soggetta a chissà quali istinti, ma sia quasi totalmente una costruzione sociale e culturale. Tanto che fino al 1760 i figli erano sostanzialmente abbandonati dai genitori e crescevano con le balie (si fa coincidere questa data, della dichiarazione dei diritti dell’infanzia, con un nuovo paradigma storico dell’essere genitori). Senza che questo costituisse fonte di dolore per i genitori biologici.
Io sono genitore e per la mia esperienza personale mi sarebbe stato impossibile dimenticare i miei digli in auto. Ma non perché sono un genitore migliore di altri: è solo perché i miei figli in auto non dormivano: piangevano, urlavano e vomitavano ad ogni variazione di moto. Cicalini umani che interrompevano qualunque routine. Ma sono assolutamente certo che alcuni bambini che crollano addormentati appena appoggiati nel seggiolino, potrebbero essere tranquillamente dimenticati in una delle tante frenetiche giornate a cui i genitori di oggi sono sottoposti: pressati sul lavoro (spesso proprio in quanto genitori: spesso questo accade alle donne ma non di rado anche agli uomini), oberati da pensieri e responsabilità, privi di aiuti.
Per cui, io spezzo una lancia in favore di qualunque artifizio che aiuti a prevenire rischi, senza troppo moralismi. E la scienza psicologica, che attualmente si sta occupando di questi specifici casi, è sostanzialmente concorde con questa direzione.